Di Daniela Muradore e Andrea Stanchi, avvocati in Milano
You take the blue pill, the story ends, you wake up in your bed and believe whatever you want to believe. You take the red pill, you stay in Wonderland, and I show you how deep the rabbit hole goes.
Morpheus, The Matrix
Lo scritto che segue rappresenta la visione di una possibile evoluzione tecnologica della giustizia. L’elaborato, molto sintetico su argomenti complessi, vuole offrire spunti di dibattito e rappresenta il punto di partenza di un percorso di discussione che può e deve tenere conto dei contributi e degli spunti che altri potranno offrire.
Si tratta di presupposti fondamentali che, riteniamo, possano dare un contributo di inquadramento e sviluppo rilevante nel settore civile.
Le tematiche di fondo con cui abbiamo a che fare si articolano su quattro direttrici fondamentali.
Direttrici tutte culturali: due logico-filosofiche e due tecnico-organizzative con dirette conseguenze pratiche.
Le prime due direttrici, quelle logico filosofiche, sono i cardini della distinzione fondamentale nel mondo digitale tra i problemi relativi alla difficoltà e quelli relativi alla complessità.
I primi (problemi della difficoltà) sono intelligibili e quindi risolvibili con studio e ragionamento, i secondi (problemi della complessità) – che sono quelli che derivano dalle interazioni uomo-macchina, infinite, non prevedibili e sempre evolventesi – sono gestibili di volta in volta solo con un sistema valoriale saldamente condiviso dagli operatori (Maeda 2019).
Le altre due direttrici riguardano: una, la necessità di ragionare in chiave esponenziale (anche questa un portato del mondo digitale e delle sue regole), in ogni direzione e dimensione (verso il macro e verso il micro: Maeda 2019[1]); l’altra, la necessità di definire in modo progettualmente chiaro la funzione che assegniamo all’attività di amministrazione (e somministrazione) della giustizia, cioè il ruolo (inteso in senso organizzativo concettuale) della funzione dello Stato (Porter 1986).
L’interazione della seconda e della terza direttrice (rapporto uomo-macchina e necessità di ragionare in modo esponenziale), determinano certe considerazioni di fondo.
Il ragionamento esponenziale è estraneo culturalmente alla natura umana, che capisce il ragionamento incrementale, ma è regolato dalla legge di Moore[2] inversa nel rapporto all’evoluzione della tecnica (Khanna 2013). Questa è la ragione per cui il processo civile telematico -pct- non è evoluto e non evolve ulteriormente (è sostanzialmente un sistema chiuso nella sua capacità di esponenzialità).
Occorre quindi un alto turn over degli operatori che incidono sul sistema ed è necessario che questi operatori abbiano uno schema valoriale condiviso per gestire la complessità che deriva dell’esponenzialità dell’evoluzione digitale.
Andrebbe quindi ripensato interamente il criterio di selezione dei magistrati che della Giustizia costituiscono il cardine del sistema produttivo (di sintesi decisionale).
Una soluzione potrebbe essere la selezione di magistrati provenienti dall’avvocatura, dopo 20 anni di professione, con un impiego in magistratura limitato a 15 anni.
In questo modo introduco nel sistema persone già formate (secondo un criterio di specializzazioni, che è, anch’essa, una evoluzione inevitabile), che condividono valori professionali di fondo omogenei (e consustanziali all’altro cardine indispensabile del processo produttivo, cioè il Foro), e che sono, per età ed esperienza, nella fase di consapevole creatività, maturità e massima produttività.
D’altro canto, uno dei constatabili problemi culturali (che poi ridonda da un punto di vista tecnico e di evoluzione della riflessione giuridica nelle decisioni) della magistratura oggi è una oggettiva e sostanziale staticità, che deriva dal meccanismo di selezione e di formazione e di evoluzione della carriera (tutti fenomeni che sono corrispondenti alla scelta normativa fatta dai costituenti), nonchè dalla conseguente ridotta interattività intercategoriale della professione (oggettiva constatazione storica che la categoria è chiusa alle permeazioni con altre categorie e con la società).
Tutti elementi che aggravano il tema “legge di Moore inversa”.
Il meccanismo proposto assicurerebbe, invece, un alto turn over, per di più gestibile, e una fondamentale unitarietà di formazione valoriale professionale.
Inoltre, assicurerebbe un notevolissimo risparmio sui costi di gestione (si pensi, ad esempio, al risparmio di natura contributiva derivante da un apporto pensionistico limitato a una frazione della carriera professionale).
La seconda (complessità) e la quarta direttrice (cioè quella relativa al problema progettuale), impongono riflessioni sul diverso piano funzionale/organizzativo.
La prima riflessione fondamentale derivata è che occorre concentrarsi su quale “mestiere” vogliamo far fare allo Stato. Se usiamo i concetti, senza soffermarci troppo, organizzativi di specializzazione di Porter (teoria del vantaggio competitivo), lo Stato è ottimo nell’intermediazione perché ha accesso a tutte le informazioni e ha, quindi, tutte le possibilità organizzative.
Non è -invece, e le dimostrazioni d’esperienza sono molteplici senza scomodare ancora il pct- il suo mestiere produrre (o occuparsi che si produca) software né preoccuparsi della sua evoluzione.
Quindi (in considerazione di questa constatazione e degli impatti tecnico-temporali del principio di esponenzialità) appare più rispondente ai criteri di razionalità limitata (strumento logico progettuale necessitato dalla complessità) che lo studio progettuale del nuovo processo digitale si concentri sul reperimento di risorse che esistono, prodotte da specialisti, che si occuperanno anche della loro evoluzione (Software as a service).
Ciò che, invece, richiede apporto progettuale proprietario è l’integrazione (che è oggi il settore di sviluppo fondamentale dell’interazione digitale).
L’interazione è un tema di difficoltà, quindi gestibile e risolvibile con lo studio.
Scendendo nella scala logica, ma restando in termini di macro temi, derivano ulteriori corollari.
Il primo è che occorre ragionare in termini di multidimensionalità (propria della esponenzialità).
Andrebbe, quindi, cancellata concettualmente la competenza territoriale: la funzione giustizia va organizzata per specialità e considerando tutta la magistratura come un serbatoio di competenze che vanno allocate sulla base di specializzazione e ripartizione secondo il carico di ognuno.
Quindi di nuovo ritorna la omogeneità (prima esposta) tra avvocati specialisti, che diventano poi magistrati, e che svolgono la funzione su base di specialità (risparmi in termini di costi formativi e di produttività operativa).
Il sistema deve organizzare udienza e carico, sulla base di criteri standard di produttività (concettualmente, si pensi al semplice schema che usa per esempio la logistica avanzata per assegnare il lavoro) mediante algoritmi che imparano dai dati di sistema (e quindi sono adattabili alle peculiarità di ciascuna branca decisionale).
Il secondo è l’assioma della centralità della tutela dei diritti come criterio di utilizzazione della riserva scarsa della giurisdizione piena, cioè quella che si basa sul confronto tra le parti sorvegliato dal magistrato, in cui il momento empatico dell’udienza nelle fasi di discussione resta il cardine umanistico imprescindibile della funzione (anche di verifica) sociale del processo[3].
In questo ambito, la lungimiranza culturale e la logica del primato della valutazione umana (scelta ad esempio propugnata dal Report britannico sulla ipotesi di riforma inglese, ma anche da studiosi come Harvey e molti altri), impone l’empatia dell’oralità quale luogo di confronto e formazione del convincimento (il passaggio al processo interamente scritto marginalizzerà, infatti, prima i giudici e poi gli avvocati: le macchine sono molto più brave di noi ad argomentare, raccogliere informazioni e valutarle. Sono, allo stato, meno adatte all’impiego dell’intelligenza emotiva necessaria a valutazioni valoriali).
Occorre poi identificare quella parte di giustizia bagatellare (o parte amministrativa, per così dire, della giustizia) cioè quei processi che hanno un alto tasso di automaticità nella valutazione perché essa dipende essenzialmente da dati oggettivi (es. pensiamo all’indennità di accompagnamento che dipendono da valutazioni tecniche, o al sistema di impugnazione delle multe etc.).
Questa parte di attività è tutta demandabile -secondo la scelta che si ritenesse di operare- alla giurisdizione forense intesa come ADR, secondo il valore cardine -in questo caso- dell’accessibilità del sistema da parte del cittadino (e se si vuole il valore economico -secondo esperienze ben note- diventa criterio se occorra anche una supervisione magistrale/arbitrale e un apporto di assistenza della difesa tecnica).
Se si condivide questa analisi di fondo il resto del sistema deriva in modo relativamente semplice, da un punto di vista logico.
Ulteriore portato dell’analisi è che occorre operare nell’ambito della semantica perché sia la legge sia la giustizia di conseguenza sono un prodotto della semantica (il che non significa che la multidimensionalità del dato che produce quella semantica non possa avere la rilevanza determinata dal medium digitale, specie nella decostruzione dell’atto difensivo e nella possibile ricostruzione significante che il medium appunto consente semplificando l’opera valutativa del magistrato).
Allo stato della conoscenza di chi scrive, esemplificativamente e, ovviamente, per dare una concretezza all’esempio, la soluzione che appare molto avanzata nel campo dell’ elaborazione basata sulla analisi della grammatica semantica dei testi e disponibile con pochi adattamenti, e di produzione italiana, è il sistema Cogito.
Mettersi a ragionare di fare un sistema analogo proprietario (quindi specializzato sulla grammatica semantica) appare non ragionevole in termini di costo (inoltre tempi di progettazione, elaborazione, addestramento e testing non sono razionalmente considerabili competitivi).
A questo va integrato un gestionale che semplifichi la relazione tra avvocati e giudici: immediata relazione tra causa, magistrato e controparte.
Quindi la scelta tecnica di procedura appare essere il ricorso e il modello processuale che si è provato essere semplice, essenziale nella funzione e ragionevolmente efficiente è quello del lavoro: ricorso, esposizione di fatti, prove e ragioni legali. Impossibilità di riapertura dell’istruzione se non su indirizzo del giudice. Materia del contendere definita. Tentativo di conciliazione informato. Istruzione. Confronto orale. Decisione.
Processo rapido, nella razionalità del fluire (di processo) essenziale ed efficiente, governabile dal giudice con ragionevole libertà ed indirizzo. Digitale nella concezione logica e quindi digitalizzabile nella logica progettuale.
Se così è, un normale modello gestionale (anche qui ragioniamo in termini di esempi pragmatici, esistono sistemi tra i molti gestionali dell’attività legale concepiti per l’integrazione con sistemi di controllo gestionale come SAP, di verifica dei carichi di lavoro e di AI) consentirebbe, ove opportunamente integrato: di caricare la pratica; al sistema di assegnarla ad un giudice competente per materia secondo il criterio del carico (ma con criteri di valutazione quali-quantitativa oggettiva ponderata basati su algoritmi).Il sistema, valutando l’agenda, fissa l’udienza e il sistema notifica al convenuto (cioè compie la valutazione dell’organizzazione di processo, che va sottratta alla valutazione del singolo). Con la pratica che può essere in pdf o epub si depositano le prove (anche qui, la natura multidimensionale del digitale consente l’equivalenza del formato: video, scritti, link a giurisprudenza etc.).
Il tutto finisce nel repository che è governato da algoritmo su base grammatica semantica. Il che significa che quando il giudice apre il documento ha la segnalazione della mappa logica del documento e di cosa deve approfondire istruttoriamente; le norme coinvolte; la giurisprudenza sulle norme; i precedenti specifici delle parti se occorre; la raccolta dei precedenti della giurisprudenza del grado e dei gradi superiori e dello stesso ufficio; l’identificazione degli elementi di fatto e la probabilità della decisione se gli elementi di fatto presupposti restano invariati secondo lo schema giuridico di norma e precedenti.
Non esiste un problema di archiviazione perché la logica del sistema è quella smart (cioè che usa i tag, che possono essere attribuiti dall’avvocato in fase di carico a sistema, ma che altrimenti può allocare automaticamente il nostro algoritmo: l’esempio è perché chi scrive ha già visto funzionare questo tipo di funzionalità e non si tratta di esempi astratti).
Quindi non una giustizia predittiva domani (sulla cui funzione sociale per il popolo italiano si nutre più di qualche dubbio di valore), ma un giudice augmented subito.
Analogo lavoro viene facilmente condotto sulla difesa del convenuto.
Tutte le udienze che non sono di prove devono essere telematiche (esistono operatori italiani perfettamente attrezzati e competitivi con i più noti internazionali, che tutti abbiamo imparato ad usare quotidianamente in questa fase di lockdown forzato).
Il sistema scandisce il tempo e il carico di lavoro, con l’ovvia possibilità del giudice di gestirne le modifiche (tutto esiste già di fatto in prodotti sul mercato, con fissazione automatica di termini scadenze attività preliminari alle udienze e allocamento delle riunioni; salvo gli adattamenti alla funzione giudiziale invece che al lavoro dell’avvocato).
Lo schema è, nella logica organizzativa, esponenziale quindi si riproduce facilmente per gli altri gradi.
E’ identico per la giustizia di urgenza.
La semplicità è il principio (tra soluzioni diverse quella più semplice è quella giusta).
Se questi principi e logiche di applicazione dei criteri della razionalità limitata per il governo della complessità sono condivisibili, la declinazione di dettaglio (ancora lunga) è però facilmente gestibile.
Con l’ultimo corollario che la giustizia è del Popolo italiano e quindi la aperta condivisione degli archivi delle decisioni, gratuita, è una decisione indispensabile, civile e corrispondente ai principi comunitari e costituzionali di conoscibilità della regola (che oggi, per ripetuti pronunciamenti costituzionali, è il risultato della legge e della sua interpretazione).
E non arriverà mai troppo presto (visto l’inaccettabile ritardo di civiltà del nostro Paese su questo argomento).
[1] Cfr. anche Kurzweil e la Legge dei ritorni acceleranti.
[2] Nel 1965 Moore ipotizzò che il numero di transistori nei microprocessori sarebbe raddoppiato ogni 12 mesi circa. Nel 1975 questa previsione si rivelò corretta e prima della fine del decennio i tempi si allungarono a due anni, periodo che rimarrà valido per tutti gli anni ottanta. La legge, che verrà estesa per tutti gli anni novanta e resterà valida fino ai nostri giorni, viene riformulata alla fine degli anni ottanta ed elaborata nella sua forma definitiva, ovvero che il numero di transistori nei processori raddoppia ogni 18 mesi
[3] In questo senso anche le profonde ed acute osservazioni della Legal Education Foundation alla riforma britannica nel documento Developing the Detail: Evaluating the impact of Court Reform in England and Wales on Access to Justice. L’udienza pubblica, nel modello costituzionale, resta il cardine su cui ruota la funzione sociale del processo e del controllo su di esso del Popolo nel nome del quale la giustizia è amministrata dallo Stato.