Venerdì 23 aprile 2021 a partire dalle ore 15.00 si svolgerà in modalità on-line l’evento: Giustizia 2030.
Più che una conferenza, un percorso.
L’iter è stato avviato, nel pieno della crisi pandemica, da un gruppo di operatori ed esperti della giustizia italiana. Così magistrati, dirigenti di uffici giudiziari, avvocati, docenti universitari, esperti di digitalizzazione ed esperti di organizzazione dei servizi pubblici, hanno condiviso la necessità e l’urgenza di sviluppare una visione strategica e soluzioni non settoriali per trasformare la giustizia da ostacolo a leva positiva per supportare la rinascita del Paese.
La proposta di trasformazione è contenuta in un libro bianco per la giustizia e il suo futuro. Al suo interno: 4 obiettivi, 8 schede di lavoro, 51 azioni, 3 anni per la realizzazione.
A poche ore dall’inizio della conferenza, abbiamo avuto il piacere di intervistare uno dei protagonisti del percorso Giustizia2030, Giovanni Xilo.
Ecco le domande proposte a Giovanni Xilo che, con molto entusiasmo, ha deciso di condividere con noi le sue valutazioni.
GIUSTIZIA 2030
1) Gli effetti della pandemia da Covid-19 e fra questi le misure eccezionali dettate dalla legislazione d’emergenza hanno indotto molti studiosi a interrogarsi sulle prospettive future della giustizia post Covid. Qual è allora il valore aggiunto di Giustizia 2030?
Il libro bianco, in effetti, nasce in piena emergenza sanitaria, ponendosi proprio il tema delle prospettive future, ma con una lettura più generale e sistemica del problema della giustizia in Italia. Non siamo partiti dalle soluzioni di emergenza che tanti dibattiti hanno scatenato, sulle udienze online, su dove debbano lavorare i magistrati, su come gestire i rinvii oppure ancora sulle modifiche urgenti al codice civile. Siamo partiti dai nodi che ben prima della pandemia caratterizzavano il sistema giustizia, limitandone le capacità e le possibilità di sviluppo. Fra tutti siamo partiti rigettando l’idea che ad un sistema, considerato oggi “zavorra” del sistema sociale ed economico del paese, bastasse una potente iniezione di giovani e gli ennesimi interventi salvifici delegati alla digitalizzazione. Questi interventi, pur essendo necessari, non saranno veramente trasformativi se non sono realizzati in una prospettiva, in un piano strategico, in un insieme di progetti di innovazione, sinergici tra loro, che affrontino davvero i nodi storici dell’organizzazione giudiziaria nel nostro paese. Che senso ha ad esempio continuare a parlare di digitalizzazione, senza parlare di nuova organizzazione, di nuove logiche di azione processuali, di capacità di programmazione e gestione, di professionalizzazione? Tutti temi (e problemi) noti, ostici, difficili da affrontare, ma imprescindibili per trasformare la giustizia da zavorra a risorsa del paese. Un ulteriore elemento sul quale facciamo leva è la convinzione che nel sistema della giustizia ci siano le capacità e le competenze per avviare un processo di autoriforma. L’esperienza del PCT, ma anche i numerosi processi di innovazione realizzati negli anni passati dagli uffici giudiziari sul territorio attestano questa capacità. Non è possibile ridurre tutto al profilo quantitativo: parlare di più digitalizzazione, più personale, più magistrati per smaltire l’arretrato induce a pensare che il problema sia solo quantitativo, come se l’organico presente non avesse voce in capitolo e capacità di cambiamento. Il profilo quantitativo non è la causa, ma il sintomo. La malattia è ben altro.
GIUSTIZIA PIÙ VICINA
2) La recente pandemia ha dimostrato che la giustizia può essere esercitata da remoto, al di fuori degli uffici giudiziari, nella convinzione che va concepita anzitutto come un servizio, anziché come un luogo. In questo nuovo contesto è ancora necessario l’accesso fisico all’ufficio giudiziario o si tratta di un concetto superato?
La pandemia ha solo reso visibile ed esteso quello che da sempre succede nel mondo della giustizia. Magistrati ed avvocati da sempre lavorano nei loro studi o nelle loro abitazioni. Sono numerosi gli esempi di amministrazioni pubbliche nazionali e locali dove le attività di lavoro sono proseguite senza interruzione anche in piena fase di lock down. La novità introdotta dalla lontananza forzata è stata rappresentata dall’estensione all’udienza di nuove modalità di svolgimento.
Ciò, tuttavia, non rende l’ufficio giudiziario un concetto superato. La presenza, l’incontro, il confronto e la gestione del processo (sia in ambito civile che penale) richiede momenti di confronto sincroni ed in presenza. Sia in ambito civile che penale si affrontano temi e controversie complesse, difficili, cruciali per la vita delle persone e delle aziende. Il confronto online è monodimensionale, riduce gli spazi di interazione, di riflessione e gli strumenti di confronto.
La pandemia ci ha semmai insegnato che possiamo utilizzare una batteria di strumenti e modalità di lavoro nuove e diverse a seconda dei diversi momenti ed eventi di un processo.
Questo, tuttavia, non implica il superamento dell’ufficio giudiziario e dell’aula di udienza.
Poi dovremmo accordarci su cosa intendiamo per ufficio giudiziario e come dovrebbe essere strutturato davvero per garantire buoni incontri, utili confronti ed adeguata gestione dei conflitti e dei processi. Gli uffici giudiziari italiani sono spesso più “inquilini” che proprietari di spazi. Sono ospiti di luoghi ed architetture che evidentemente non sono nate per esercitare la giustizia. Uffici distanti tra loro, rappezzati, ricchi di mostre permanenti sull’evolversi del design dedicato all’archiviazione, luoghi di lavoro per avvocati, cancellieri e magistrati inadeguati ed a volte brutti. Luoghi dove non è facile lavorare.
GIUSTIZIA PIÙ SEMPLICE
3) La digitalizzazione ha interessato non solo il processo civile, ma anche quello amministrativo, tributario e infine penale. Divergono però regole e infrastrutture. E’ possibile e auspicabile un’armonizzazione della normativa? In che termini?
Basta partire dagli utenti, esterni ed interni, basta partire dall’individuazione degli strumenti che garantiscano di più l’accesso e l’interazione con i sistemi digitali della giustizia. Esattamente come all’epoca si fece con il Processo Civile Telematico. Basta quindi definire regole di interazione comuni e su quelle sviluppare la digitalizzazione dei riti. Abbiamo peraltro una necessità comune al mondo civile, penale, tributario ed amministrativo. Si tratta di riscrivere i riti partendo dalle tecnologie e dalle potenzialità di una società digitale, anziché adattare le tecnologie a regole nate per la carta e per la penna.
Maggiori informazioni ed il modulo per iscriversi all’evento sono disponibili al seguente link: https://giustizia2030.it