di Elisabetta Zimbè Zaire – Avvocato in Busto Arsizio
L’ultimo aggiornamento di ChatGPT ha introdotto una funzione che sta facendo discutere: la generazione di immagini nello stile dello Studio Ghibli. Questa tendenza, soprannominata “Ghiblification”, ha rapidamente conquistato il web, dando vita a un’ondata di creatività sui social media.
Basta un prompt per trasformare scenari reali o immaginari in illustrazioni che sembrano uscite direttamente da un film di Hayao Miyazaki, regista, animatore e sceneggiatore giapponese. Immaginate, per esempio, Il Signore degli Anelli disegnato con la delicatezza di “La Città Incantata,” oppure scene storiche, come un incontro tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, rielaborate con il tocco poetico tipico dello studio giapponese. Persino Sam Altman, CEO di OpenAI, si è lasciato conquistare dalla tendenza, aggiornando la sua immagine profilo su X, (nome che è stato recentemente adottato da Twitter) con un ritratto generato dall’IA.
Ma dietro l’entusiasmo si cela una questione complessa: chi possiede i diritti su queste immagini? E fino a che punto la tecnologia può ispirarsi a uno stile consolidato senza violarne la proprietà intellettuale?
Lo Studio Ghibli ha creato un’estetica inconfondibile, fatta di tratti morbidi, colori pastello e atmosfere sognanti. Tuttavia, dal punto di vista giuridico, lo stile artistico in sé non è protetto dal copyright: la Convenzione di Berna e la Direttiva UE 2001/29/CE tutelano le opere d’arte, ma non il semplice “modo di disegnare”.
Il problema nasce quando un’IA viene addestrata su opere protette senza autorizzazione. La normativa europea (art. 2 della Direttiva 2001/29/CE) garantisce agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare la riproduzione delle proprie creazioni. Se i dataset di addestramento includono immagini di opere protette senza consenso, ci si trova di fronte a un potenziale illecito.
OpenAI, più volte criticata per l’uso di opere coperte da copyright nei suoi modelli, sostiene che la sua IA non copia direttamente gli artisti viventi, ma si limita a reinterpretare stili in modo generico. Tuttavia, il confine tra “ispirazione” e “riproduzione non autorizzata” rimane labile, e la posizione di OpenAI non è universalmente accettata. Diversi autori come George R.R. Martin e John Grisham hanno citato OpenAI per aver usato i loro libri senza consenso, sostenendo che l’IA generativa danneggi il mercato del lavoro creativo; artisti e illustratori hanno denunciato il fatto che strumenti di generazione di immagini, come DALL·E o Stable Diffusion, replicano stili distintivi senza riconoscere i creatori originali. Anche il settore musicale è in allarme, temendo che l’IA possa riprodurre le voci e lo stile di artisti famosi senza permesso
Hayao Miyazaki,non ha mai nascosto il suo scetticismo verso l’uso dell’intelligenza artificiale nell’arte. Già nel 2016, in una celebre intervista, definì l’uso di algoritmi per creare immagini “un insulto alla vita stessa”.
Durante una dimostrazione di software che generava movimenti animati basandosi su modelli predittivi, il maestro giapponese reagì con sdegno: “Se davvero pensate di creare qualcosa di interessante in questo modo, siete completamente fuori strada”. Per lui, l’animazione non è solo una questione tecnica, ma un’espressione dell’anima dell’artista.
Le sue parole, a distanza di anni, risuonano ancora attuali. Se da un lato l’IA ha reso possibile la creazione di immagini straordinarie in pochi istanti, dall’altro molti artisti temono che questa tecnologia possa svuotare il processo creativo di significato e valore.
Le preoccupazioni principali sono tre:
- Depersonalizzazione dell’arte: Se una macchina può generare opere in pochi secondi, il ruolo dell’artista rischia di essere ridotto a semplice curatore.
- Perdita di opportunità lavorative: L’IA potrebbe sostituire illustratori e animatori in molti ambiti, favorendo la produzione industriale a scapito della creatività umana.
- Mancanza di empatia: Per Miyazaki, l’arte nasce dalle emozioni e dalle esperienze personali. L’IA, per quanto sofisticata, rimane un semplice strumento privo di sentimenti.
D’altra parte, le aziende tecnologiche sostengono che l’IA possa affiancare gli artisti, automatizzando i compiti ripetitivi e lasciando più spazio alla creatività umana.
Le nuove regole di OpenAI: un compromesso possibile?
Sotto la pressione delle comunità artistiche, OpenAI ha recentemente modificato le proprie policy: ora non è più possibile trasformare fotografie reali in immagini nello stile Ghibli, ma resta consentita la creazione di illustrazioni originali ispirate alla sua estetica.
Nel frattempo, il dibattito legale continua. Negli Stati Uniti, OpenAI e altre aziende del settore stanno cercando di far riconoscere l’uso di opere protette per l’addestramento delle IA sotto il principio del fair use. Questo concetto giuridico permette l’uso di materiale coperto da copyright senza autorizzazione in determinati contesti (critica, insegnamento, trasformazione creativa), ma la sua applicazione alle IA resta controversa.
Attualmente, i tribunali valutano il fair use sulla base di quattro criteri:
- Scopo e natura dell’uso – Se l’uso è trasformativo, ha più probabilità di essere lecito.
- Natura dell’opera protetta – Le opere artistiche godono di una protezione più forte.
- Quantità e sostanzialità dell’uso – Copiare interamente un’opera è più problematico che usarne solo una parte.
- Impatto sul mercato – Se l’IA riduce il valore commerciale dell’opera originale, è meno probabile che il suo uso sia ritenuto lecito.
La “Ghiblification” è solo un tassello di un dibattito più ampio: l’IA rappresenta un’opportunità o un rischio per la creatività?
Da un lato, la tecnologia offre strumenti straordinari per ampliare l’espressività artistica. Dall’altro, senza regole chiare, rischia di compromettere il concetto stesso di autorialità.
Forse la vera sfida non è decidere se l’IA debba essere usata nell’arte, ma come garantirne un impiego equo, rispettoso e sostenibile per il futuro della creatività umana.