Verso una nomofilachia costituzionalmente orientata: l’iniziativa dell’Ordine degli Avvocati di Roma sul contributo unificato e l’iscrizione a ruolo


Con deliberazione assunta all’unanimità, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma – su proposta del Presidente, Avv. Paolo Nesta, e del Consigliere Segretario, Avv. Alessandro Graziani – ha inoltrato formale istanza al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione affinché, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., promuova l’intervento della Suprema Corte con riferimento alla corretta interpretazione, nell’interesse della legge, della nuova disciplina introdotta in materia di contributo unificato e di iscrizione a ruolo dei procedimenti civili.

L’intervento richiesto si colloca in un contesto normativo profondamente mutato a seguito della Legge di Bilancio per l’anno in corso, la quale ha introdotto una previsione di forte impatto sistemico: l’impossibilità di iscrivere a ruolo un procedimento in assenza del previo pagamento del contributo unificato, con la conseguenza che l’accesso alla giurisdizione verrebbe, di fatto, condizionato a un adempimento di natura patrimoniale.

Il rischio paventato – e che ha destato ampie e trasversali perplessità nell’avvocatura nazionale – è che tale disposizione finisca per attribuire un potere impeditivo al cancelliere, il quale verrebbe a svolgere un ruolo “selettivo” circa l’ammissibilità dei ricorsi e la loro idoneità a produrre effetti processuali, in assenza di qualsiasi filtro giurisdizionale. Un’evenienza che, se confermata, si porrebbe in tensione con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale, in primis con il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24 Cost.), e con il principio di effettività della tutela giurisdizionale.

Tali criticità sono state puntualmente evidenziate anche nel parere pro veritate reso dai Professori Avvocati Giorgio Costantino e Antonino Galletti, i quali ravvisano “forti perplessità di rilievo costituzionale” derivanti dalla subordinazione dell’esercizio dell’azione giudiziaria al pagamento di una somma di denaro. Si tratta, in altre parole, di una condizione potenzialmente idonea a ledere l’universalità dell’accesso alla giustizia, trasformando un presupposto tributario in un discrimine selettivo tra cittadini abbienti e non abbienti.

La richiesta formulata al Procuratore Generale intende sollecitare l’esercizio della funzione nomofilattica della Suprema Corte in chiave non soltanto esegetica, ma anche costituzionalmente orientata, affinché si pervenga – attraverso un intervento ex art. 363 c.p.c. – a una pronuncia interpretativa che salvaguardi l’impianto valoriale della Costituzione e riaffermi il ruolo centrale della giurisdizione nel sistema delle garanzie.

Come dichiarano i vertici dell’Ordine capitolino, “giuridicamente, l’unica via percorribile è quella di pervenire all’enunciazione, da parte della Corte e nell’interesse della legge, della corretta interpretazione della disciplina legale applicabile ed alla valutazione della costituzionalità della normativa introdotta”, così da scongiurare il rischio che sia il cancelliere – e non il giudice – a determinare, in via preventiva, la possibilità stessa di instaurare o proseguire un giudizio civile.

In conclusione, l’iniziativa dell’Ordine degli Avvocati di Roma si configura come un atto di responsabilità istituzionale, volto a rafforzare la coerenza tra norma processuale e principi costituzionali, in una prospettiva sistemica di salvaguardia dello Stato di diritto e della funzione giurisdizionale.